Qui puoi trovare risposta ai quesiti più frequenti sulla fibrosi polmonare idiopatica e sulla sua gestione.
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF, Idiophatic Pulmonary Fybrosis) è una malattia rara che colpisce i polmoni, riducendo progressivamente la capacità respiratoria.
Il termine “fibrosi” è legato al processo alla base della malattia che consiste nella sostituzione di porzioni sempre più ampie del tessuto polmonare degli alveoli (parenchima polmonare) con tessuto cicatriziale incapace di supportare gli scambi di ossigeno e anidride carbonica, normalmente garantiti dai polmoni, e quindi di assicurare una corretta ossigenazione dell’organismo.
L’aggettivo “idiopatica” è aggiunto per indicare che, a oggi, non è stato possibile evidenziare gli specifici meccanismi biologici che portano all’insorgenza della malattia.
A oggi, le cause della fibrosi polmonare idiopatica non sono note. Il fumo di sigaretta sembra aumentare il rischio di sviluppare la malattia, ma, in base ai dati disponibili, non gli può essere attribuito un ruolo causale certo.
Alterazioni nei geni che regolano la fisiologia e i processi di rinnovamento e riparazione del tessuto polmonare potrebbero favorire l’insorgenza della malattia, ma, per ora, non si hanno informazioni a riguardo. Come nel caso di altre patologie polmonari interstiziali, l’esposizione a sostanze tossiche ambientali che inducono infiammazione e danni del parenchima polmonare (per esempio, silice, asbesto, metalli pesanti, gas e fumi industriali, batteri, polvere di proteine animali) potrebbe favorire la cicatrizzazione aberrante all’origine della fibrosi.
Un effetto analogo potrebbe essere determinato da alcuni farmaci (amiodarone, chemioterapici ecc.) e dalla radioterapia al torace necessaria per la cura di neoplasie (tumore del polmone, linfomi ecc.). In aggiunta, è noto che malattie polmonari interstiziali possono comparire come complicanza di malattie autoimmuni (per esempio, la sclerodermia, il lupus eritematoso sistemico, l’artrite reumatoide, la polimiosite e la dermatomiosite), di infezioni batteriche o virali e della tubercolosi. Riguardo al ruolo effettivo di tutti questi fattori potenzialmente sfavorevoli nell’insorgenza della fibrosi polmonare, tuttavia, mancano indicazioni precise.
In base alle stime epidemiologiche, la fibrosi polmonare idiopatica colpisce ogni anno circa 30-35mila persone nei 27 Paesi dell’Unione europea (nuovi casi all’anno), prevalentemente anziane o, comunque, in età adulta (40-80 anni), e più spesso gli uomini delle donne.
Analogamente ad altre importanti malattie respiratorie, come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), l’enfisema e il tumore del polmone, l’insorgenza della fibrosi polmonare idiopatica è più frequente tra i fumatori e tra persone che presentano una familiarità per la malattia. Il fatto di aver avuto un nonno, un genitore o un altro parente in linea diretta affetto da fibrosi polmonare idiopatica, tuttavia, non significa che la si svilupperà a propria volta, dal momento che i fattori in gioco nell’insorgenza della malattia sono molteplici e ancora in larga parte da determinare.
Posta la loro funzione vitale e insostituibile, i polmoni hanno una capacità di scambiare ossigeno e anidride carbonica ben superiore alle effettive esigenze medie dell’organismo. I primi sintomi della fibrosi polmonare, quindi, iniziano a manifestarsi quando il danno è giù abbastanza avanzato e consistono essenzialmente in tosse secca, priva di muco, persistente e non motivata da altre cause riconoscibili, e dispnea, ossia mancanza di fiato durante l’esercizio e/o durante l’esecuzione delle attività abituali. Queste due manifestazioni, spesso trascurate dalla maggioranza delle persone (soprattutto dai fumatori) dovrebbero indurre a rivolgersi al medico per un controllo e gli approfondimenti del caso.
Oltre che alla fibrosi polmonare, tosse secca e dispnea potrebbero essere dovute alla broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) oppure all’insufficienza cardiaca: altre due importanti malattie croniche dell’adulto/anziano, da trattare precocemente. Man mano che la fibrosi polmonare evolve, i sintomi respiratori peggiorano e la dispnea inizia a manifestarsi per sforzi sempre più modesti e anche a riposo, fino a richiedere l’ossigenoterapia. Altri sintomi della malattia comprendono l’allargamento delle punta delle dita e l’ispessimento dei letti delle unghie, che possono assumere un aspetto a cucchiaio definito “a bacchetta di tamburo”. In aggiunta, possono essere presenti edema periferico (ossia, gonfiore da ritenzione idrica, a livello di mani, piedi e caviglie) e una colorazione tendenzialmente bluastra della pelle, in particolare a livello di mani e piedi (a causa della ridotta quantità di ossigeno nel sangue).
La visita medica può soltanto far sospettare la presenza di fibrosi polmonare. Per confermare la diagnosi ed escludere altre malattie con sintomi clinici sovrapponibili è indispensabile effettuare alcune effettuare indagini strumentali, in particolare la radiografia del torace e la TAC ad alta risoluzione, che permettono di evidenziare e quantificare le zone di tessuto polmonare fibrotico.
Per comprendere ancora meglio lo stato dei polmoni può essere effettuata una endoscopia polmonare con broncoscopia, che prevede l’inserimento di una sonda nelle vie aeree (attraverso il naso o la bocca), sotto sedazione. Qualora, dopo questa serie di indagini, rimanessero dubbi diagnostici, può essere richiesta una biopsia polmonare, che consiste nel prelievo di una piccola quota di tessuto polmonare con ago cavo, in toracoscopia video-assistita (una procedura chirurgica poco invasiva, effettuata in anestesia generale). Il tessuto così ottenuto viene analizzato in laboratorio per valutarne le caratteristiche ai fini della diagnosi differenziale.
Attualmente, non esiste una terapia farmacologica in grado di curare la fibrosi polmonare idiopatica né di arrestarne l’evoluzione in modo definitivo. Tuttavia, si hanno a disposizione alcuni farmaci che possono rallentarne il decorso per alcuni anni e renderlo un po’ meno gravoso per i pazienti. Questi farmaci hanno maggiori probabilità di determinare benefici se vengono assunti quando la malattia è in fase iniziale: cosa che rende ancora più importante riuscire a ottenere una diagnosi precoce.
Oltre ai farmaci, per controllare i sintomi respiratori e migliorare la funzionalità e la qualità di vita dei pazienti, sono utili la riabilitazione polmonare (composta da allenamento controllato in palestra, esercizi di respirazione e programmi educativi finalizzati al potenziamento della funzionalità polmonare residua) e, nelle fasi più avanzate, l’ossigenoterapia (inalazione di ossigeno concentrato), da fare a casa o in ambulatorio. A oggi, l’unica terapia realmente in grado di eliminare la fibrosi polmonare è il trapianto di polmone, tuttavia questa soluzione è praticabile soltanto in una piccola quota di pazienti, sia a causa della difficoltà di trovare donatori compatibili sia perché il paziente che riceve il trapianto deve essere in condizioni cliniche sufficientemente buone per poter subire un intervento di questo tipo, decisamente impegnativo e ad alto rischio.
Negli ultimi 20 anni numerosi studi hanno ipotizzato un ruolo centrale nell’amplificazione del danno fibrosante sostenuto dallo stress ossidativo. La ricerca scientifica si è pertanto posta il quesito che ruolo hanno il Nintenadib ed il Pirfenidone sullo stress ossidativo?
Iniziano pertanto ad emergere dati su come i due farmaci antifibrosanti abbiano anche una azione in termini di abbattimento di mediatori dello stress ossidativo. Appare corretto affermare che si attende dalla ricerca scientifica maggiori prove a supporto di tale tesi che comunque è affascinante e non priva di fondamento.
L’attenzione a una dieta sana è particolarmente importante nelle malattie polmonari.
Diversi studi hanno dimostrato che in circa un terzo dei pazienti affetti da Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) presenti uno stato di malnutrizione, intesa come la combinazione di una o più di queste caratteristiche: perdita di peso non intenzionale, basso indice di massa corporea (BMI) o massa muscolare ridotta che portano ad una ridotta funzione fisica e mentale. La malnutrizione può derivare ad esempio dall’incapacità di mangiare (a causa di anoressia, nausea e vomito), compromissione dell’assorbimento, metabolismo alterato e ipercatabolico.
Molti fattori possono avere un impatto negativo sullo stato nutrizionale dei pazienti con IPF, tra cui un aumento del carico muscolare respiratorio, il rilascio di mediatori infiammatori, l’ipossiemia e l’inattività fisica.
Non sono ancora disponibili consigli nutrizionali e dietetici specifici per i pazienti con IPF, ad eccezione delle raccomandazioni dietetiche per ridurre gli effetti collaterali gastrointestinali dei trattamenti antifibrotici.
Semplici consigli per far fronte ai comuni effetti avversi possono essere i seguenti.
In caso di diarrea: bere almeno 2,5 litri al giorno; utilizzare metodi di cottura semplici (a vapore, microonde, grigliatura); inizialmente frutta sbucciata non superiore a due porzioni al giorno.
In caso di nausea e vomito: meglio bere liquidi prima o dopo i pasti; fare pasti piccoli e frequenti; mangiare lentamente e masticare bene il cibo; prediligere cibi leggermente stagionati, senza salse o spezie forti; introdurre alimenti secchi come fette biscottate, pane e biscotti; limitare/evitare bevande con caffeina; mangiare quando si ha fame per evitare il rifiuto del cibo; bere poco e frequentemente; liquidi e cibi morbidi, leggermente caldi e/o freddi possono essere più tollerati di quelli caldi; bevande gassate possono alleviare i sintomi, aggiungere zenzero o menta ai cibi (da valutare con il medico in caso di anticoagulanti).
In caso di perdita di appetito: mangiare pasti piccoli e frequenti; non saltare i pasti; non aspettare i soliti orari dei pasti ma mangiare se compare appetito; evitare di bere prima/durante i pasti in quanto ciò potrebbe causare sazietà; mangiare verdure con cibi ipercalorici a fine pasto (formaggio, uova, pollo, carne, fagioli, mais).
Alla luce di quanto sopra, è necessario un approccio multidisciplinare in modo che vari specialisti siano coinvolti nella cura dell’IPF, compresi nutrizionisti (medici e dietologi) e specialisti della riabilitazione oltre ai pneumologi.
Chi soffre di fibrosi polmonare deve seguire uno stile di vita il più possibile sano, che permetta di mantenere l’organismo nelle migliori condizioni cliniche generali, nonostante la malattia. Se si è fumatori, è cruciale abbandonare sigarette e sigari per non aggiungere un danno tossico evitabile al tessuto polmonare già compromesso e non ridurre ulteriormente l’ossigenazione del sangue. Altrettanto importante è seguire programmi di riabilitazione polmonare, che permettono di massimizzare la capacità respiratoria residua, e seguire un’alimentazione sana e bilanciata, al fine di mantenere il peso corporeo in un intervallo ottimale.
Gli eccessi ponderali impongono, infatti, un inutile sforzo aggiuntivo nell’esecuzione di qualunque attività e peggiorano la dispnea, mentre un’eccessiva magrezza ha un effetto complessivamente debilitante e rende più fragili nei confronti di malattie infettive. In merito a quest’ultimo aspetto, va sottolineato che i pazienti con fibrosi polmonare presentano un rischio particolarmente elevato di malattie respiratorie e dovrebbero sottoporsi almeno una volta alla vaccinazione antipneumococcica (che offre una protezione dalle principali forme di polmonite per almeno cinque anni) e, annualmente, alla vaccinazione antinfluenzale stagionale.
I benefici offerti dai farmaci disponibili per il trattamento della fibrosi polmonare idiopatica (IPF) consistono nel rallentamento dell’evoluzione della malattia per alcuni anni, nella prevenzione delle riacutizzazioni e nella riduzione della mortalità associata. I principi attivi più nuovi introdotti in pratica clinica riescono circa a dimezzare il declino annuale della funzionalità polmonare e a ridurre sostanzialmente le riacutizzazioni (sempre causa di ricovero ospedaliero e associate a una prognosi sfavorevole).
Assumendo questi farmaci fin dall’esordio dei sintomi, quindi, si può posticipare la riduzione della capacità respiratoria e mantenere una maggiore funzionalità e una migliore qualità più a lungo. Dai farmaci contro l’IPF non ci si deve, invece, aspettare un miglioramento dei sintomi già presenti, poiché la fibrosi polmonare che si è già instaurata non può essere compensata dalla terapia medica. Un’attenuazione dei sintomi respiratori (in particolare, della dispnea) e, quindi, un miglioramento del benessere generale può essere ottenuto attraverso programmi di riabilitazione respiratoria. In fase avanzata, invece, è soprattutto l’ossigenoterapia a ridurre l’impatto della perdita di funzionalità polmonare.
La pandemia COVID-19 ha cambiato radicalmente l’attività ordinaria assistenziale della Pneumologia, in modo particolare l’attività ambulatoriale. Per motivi di sicurezza e tutela del paziente, sono state limitate le visite pneumologiche “in presenza” ed è stata potenziata la comunicazione medico-paziente da remoto e impostato uno stretto monitoraggio domiciliare del paziente per via telematica. Questo cambiamento è stato facilitato dall’organizzazione interna dell’ambulatorio specialistico dedicato alla fibrosi polmonare in cui ogni paziente viene affidato ad un medico di riferimento con cui instaura un dialogo diretto.
Il monitoraggio domiciliare si basa su una stretta collaborazione tra paziente e medico, ove il paziente raccoglie e fornisce le informazioni richieste e il medico, sulla base di queste, elabora una risposta adeguata alle problematiche; comprende la valutazione di diversi aspetti fondamentali nella gestione della patologia.
Monitoraggio delle condizioni cliniche del paziente
A cosa il paziente deve prestare attenzione e cosa è importante riferire al medico?
Monitoraggio della saturazione periferica con pulsiossimetro e della frequenza respiratoria.
Come si misura la saturazione periferica?
Come si misura la frequenza respiratoria?
Si contano gli atti respiratori che il paziente compie in un minuto.
Monitoraggio della frequenza cardiaca
Monitoraggio della temperatura corporea
Monitoraggio della pressione arteriosa
Si allega una tabella in cui è possibile raccogliere questi dati in modo ordinato e facilmente consultabile.
Prescrizione e visione di esami ematochimici, radiologici e consulenze specialistiche.
Ogni paziente riceve dal medico di riferimento un’indirizzo e-mail al quale inviare il referto degli esami richiesti: questo consente una rapida consultazione degli stessi.
Prescrizione della terapia con farmaci antifibrosanti, programmazione della terapia, monitoraggio esami di ematochimici di controllo e gestione delle eventuali reazioni avverse.
Vaccinazione anti-COVID19: i pazienti sono stati inseriti nella lista delle categorie con priorità per la vaccinazione.
La fibrosi polmonare è una malattia cronica progressiva caratterizzata da un’evoluzione molto variabile da paziente a paziente. In alcuni casi, il declino della funzionalità polmonare può essere lento, in altri più rapido; in altri ancora, caratterizzato da un andamento a fasi alterne di declino lento e “accelerato”. Oltre che per le peculiarità della malattia nel caso specifico, l’evoluzione variabile del quadro clinico globale del paziente dipende dall’età più o meno avanzata e dalla presenza di comorbilità (principalmente, reflusso gastroesofageo, malattie cardiovascolari, tumore del polmone, depressione, disturbi respiratori del sonno, eccessiva magrezza e diabete).
Per tutti i pazienti, l’evento più temibile è costituito dalle riacutizzazioni dell’IPF, caratterizzate da un brusco e sostanziale peggioramento dei sintomi, tale da richiedere il ricovero ospedaliero e interventi intensivi. Oltre che per la compromissione acuta, le riacutizzazioni devono essere il più possibile prevenute in quanto associate a una mortalità intraospedaliera elevata e a una prognosi sfavorevole.
Il medico di famiglia e gli specialisti pneumologi verso i quali si verrà indirizzati rappresentano i primi alleati nella cura della fibrosi polmonare idiopatica (IPF), nonché le fonti privilegiate di informazioni scientificamente attendibili e adeguate al quadro clinico individuale, sia sul fronte delle caratteristiche e dell’evoluzione della malattia nel caso specifico sia su quello delle terapie disponibili e dei risultati che si possono ottenere.
Per conoscere i Centri di riferimento per la cura dell’IPF presenti sul territorio italiano si può far riferimento alla sezione dedicata alla patologia sul sito web dell’Osservatorio Malattie Rare (OMAR), dal quale è possibile scaricare una guida aggiornata. Presso i Centri di riferimento sarà possibile anche avere indicazioni sulle associazioni di pazienti presenti nella propria area di residenza, dalle quali ricevere informazioni pratiche, consigli sulla gestione quotidiana della malattia e supporto psicologico.
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