Il percorso verso la diagnosi

Le linee guida internazionali indicano che la diagnosi di IPF venga definita a livello multidisciplinare. Il percorso che si trova ad affrontare la persona che avrà una diagnosi di IPF include diverse indagini utili.


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Le linee guida internazionali indicano che la diagnosi di IPF venga definita a livello multidisciplinare. Le discussioni si svolgono tra pneumologi, patologi, radiologi e altri specialisti per considerare collettivamente tutti gli aspetti di un caso prima di esprimere un parere consensuale sulla diagnosi e sul piano terapeutico. Questo approccio evidenzia l’importanza di indirizzare le persone con sospetto di IPF verso centri di eccellenza nella diagnosi e nella gestione di questo tipo di malattie.

I dati principali per la diagnosi derivano dalla tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) o dalla biopsia polmonare (un piccolo prelievo chirurgico di tessuto polmonare).

Il percorso che si trova ad affrontare la persona che avrà una diagnosi di IPF è solitamente il seguente:

  • Visita medica per presenza di tosse secca e dispnea. Questi sintomi sono molto generici e segnalano la presenza di una malattia respiratoria, ma non permettono di individuarne con precisione la causa, a meno che non siano presenti altri elementi diagnostici. In particolare, l’auscultazione del torace può rilevare dei crepitii caratteristici, “tipo velcro”, ovvero suoni polmonari brevi, di carattere esplosivo e transitorio, che devono il nome alla somiglianza con il suono generato dalle strisce di velcro che si separano. Il medico, quindi, dopo un’attenta valutazione clinica generale e l’analisi delle abitudini di vita (fumo, attività lavorativa, occupazioni abituali nel tempo libero ecc.) e delle eventuali patologie note presenti e pregresse, prescriverà alcune indagini strumentali per valutare la funzionalità respiratoria e la possibile presenza di alterazioni a livello polmonare.
  • Spirometria. È uno dei primi test da effettuare. Questo esame permette di quantificare la capacità respiratoria del paziente in modo semplice e rapido. Durante questo esame, si deve soffiare in un tubo (lo spirometro) “tutta” l’aria contenuta nei polmoni, con la massima forza possibile. Nella maggior parte dei casi, l’IPF si manifesta come una sindrome restrittiva, ovvero a una situazione di ridotta disponibilità di tessuto polmonare funzionante (al contrario, una sindrome ostruttiva si caratterizza per una ridotto flusso di aria nelle vie respiratorie, come nel caso dell’asma). La spirometria da sola non serve a fare diagnosi di IPF, ma aiuta a capire il grado di compromissione polmonare all’esordio e durante il decorso della malattia.
  • Altri esami di funzionalità respiratoria. In aggiunta alla spirometria, sia per l’inquadramento iniziale sia in fase di monitoraggio possono essere richiesti altri test di funzionalità respiratoria, non invasivi e più specifici, come il DLCO (Diffusion Lung CO), che permette di valutare la capacità di scambiare ossigeno e anidride carbonica. Sono poi molto utili i test che valutano il grado di ossigenazione del sangue come l’ossimetria (che si esegue semplicemente posizionando un piccolo “cappuccio” a pinza sull’estremità del dito indice o sul lobo di un orecchio) e l’emogasanalisi (in questo caso, la concentrazione di ossigeno è determinata in modo molto più preciso, su un campione di sangue arterioso, prelevato da un’arteria del polso; con lo stesso test viene valutata anche la concentrazione di anidride carbonica). L’ossimetria può essere effettuata anche durante il movimento, nel test dei 6 minuti di cammino, utile per valutare la funzionalità globale del paziente. Questo esame consiste nel valutare quanti metri il paziente riesce a percorrere su un terreno piano privo di ostacoli nell’arco di 6 minuti, senza avere affanno.
  • Esami del sangue. Nel sospetto di una sindrome respiratoria restrittiva, il medico potrebbe anche richiedere alcuni esami del sangue, per ricercare determinati auto-anticorpi tipici di alcune malattie del tessuto connettivo (il tessuto che supporta – come una rete di supporto – gli altri tessuti, inclusi quelli bronco-polmonari) che danneggiano il polmone. Tra le malattie auto-immunitarie del tessuto connettivo, si ricercano, per esempio, artrite reumatoide, dermatopolimiosite, sclerodermia e sindrome di Sjögren. Gli esami del sangue possono comprendere quindi: anticorpo antinucleare, fattore reumatoide, velocità di sedimentazione delle emazie (VES) e la proteina C-reattiva.
  • Radiografia del torace. Per confermare il sospetto clinico di IPF bisogna avvalersi di indagini che permettano di visualizzare lo stato dei polmoni. La prima indagine di questo tipo è, di norma, una comune radiografia del torace, nella quale la possibile presenza di IPF sarà segnalata dalla comparsa di aree opache a reticolo nel tessuto polmonare (altrimenti “trasparente” ai raggi X), che danno al polmone un aspetto a “nido d’ape” (honeycombing). In caso di esito positivo il quadro dovrà essere approfondito con un’indagine più accurata come la TC ad alta risoluzione (HRCT, High Resolution Computed Tomography) del torace. La radiografia del torace non è infatti un esame adeguato per formulare una diagnosi accurata nel sospetto di IPF.
  • Tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT). Questa tecnica permette anche di differenziare l’IPF da altre patologie polmonari. Nella diagnosi da HRCT è comunque fondamentale il dialogo tra pneumologi e radiologi perché le caratteristiche radiologiche devono essere messe in relazione col contesto clinico. Eventualmente, può essere chiesta anche la consulenza di un patologo o di un reumatologo.
  • Broncoscopia. Se l’HRCT lascia dei dubbi nella diagnosi, è necessario effettuare la broncoscopia (anche abbinata a lavaggio bronchiale) e la biopsia del tessuto polmonare. La broncoscopia, effettuata introducendo attraverso il naso o la bocca un piccolo tubo flessibile con microtelecamera all’estremità, permette di esaminare nel dettaglio la superficie delle vie aeree ed eventualmente recuperare frammenti di tessuto o di fluidi/secrezioni, da esaminare in laboratorio per rilevare possibili fonti infettive o cellule alterate.
  • La biopsia è una metodica chirurgica invasiva, eseguita in anestesia generale, che prevede l’inserimento di un ago cavo attraverso un’incisione tra le costole e il prelievo di frammenti di tessuto polmonare, da esaminare in laboratorio. Tutta la procedura viene eseguita sotto guida ecografica per selezionare le aree polmonari da saggiare e agire in modo il più possibile sicuro.

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