Per diagnosticare correttamente la fibrosi polmonare idiopatica (IPF), il medico si basa essenzialmente sui seguenti elementi: storia dei disturbi del paziente, visita medica, esami del sangue (test sierologici autoimmuni), tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) del torace e, in alcuni casi, biopsia polmonare. Quest’ultima viene utilizzata solo in quei soggetti in cui i dati clinici e radiologici si dimostrano insufficienti per raggiungere una diagnosi certa.
Il ricorso alla biopsia è tuttavia sempre più raro. Gli studi hanno infatti dimostrato che questo esame non è solitamente necessario, grazie alla precisione dei riscontri radiologici che offre oggi l’HRCT, con una probabilità di esattezza della diagnosi del 90-100%.
In cosa consiste la biopsia?
La biopsia consiste nel prelievo di un piccolo campione di tessuto polmonare, che viene poi esaminato al microscopio, per ricercare alcuni segni tipici della malattia. Nonostante il prelievo sia di minuscole dimensioni, la procedura comporta comunque una piccola ferita, che espone quindi l’organismo al rischio di complicazioni, inclusi sanguinamenti e riacutizzazione della malattia stessa. Per tali motivi, sebbene la biopsia polmonare, fornisca importanti informazioni diagnostiche, va sempre considerato attentamente il rapporto tra benefici e rischi per il singolo paziente.
La biopsia viene mirata alle aree di anormalità indicate dalla HRCT. Di solito, nella pratica clinica comune, si eseguono più prelievi, per ridurre l’errore di campionamento. I risultati della biopsia vengono messi a confronto con le informazioni cliniche e le caratteristiche radiologiche. Questa valutazione viene solitamente effettuata da un team di specialisti, costituito da pneumologi, radiologi e anatomopatologi.
Esistono più tipi di biopsia?
Nel caso in cui sia necessaria la biopsia, la procedura principalmente consigliata è quella della biopsia polmonare chirurgica. Questa procedura ha infatti la migliore resa diagnostica, tuttavia consiste in un vero e proprio intervento chirurgico, con necessità di ricovero ospedaliero e tutti i rischi connessi.
Nei pazienti per i quali i rischi di complicazioni della biopsia polmonare chirurgica potrebbero essere troppo elevati o che rifiutano tale procedura, può essere eseguita una biopsia transbronchiale. Questa consiste in una biopsia eseguita nel corso di una broncoscopia. La procedura broncoscopica non richiede ricovero ospedaliero (eccetto che nel caso della criobiopsia, vedi avanti) e comporta solitamente meno disturbi per il paziente. Questo tipo di esame è tuttavia meno affidabile della biopsia polmonare chirurgica perché offre più piccole dimensioni dei campioni da esaminare.
Come si esegue l’esame in corso di fibrobroncoscopia?
Indipendentemente dallo scopo di ottenere una biopsia, la fibrobroncoscopia può essere un esame comunque utile per il paziente con sospette malattie polmonari. Questo esame consente infatti di visionare internamente l’albero bronchiale fino alle ramificazioni bronchiali periferiche. La parte caratteristica dello strumento utilizzato (fibrobroncoscopio) è un minuscolo tubicino (può avere una sezione di pochi millimetri) flessibile che viene introdotto nelle vie respiratorie, solitamente attraverso una narice. All’interno di tale tubicino corrono delle fibre ottiche che trasmettono l’immagine a un sistema ottico posto nella parte impugnata dal medico operatore. A esso può essere collegato un sistema di videoregistrazione che consente la visione su uno schermo di tutta la procedura. Attraverso tale strumento, come già detto, possono essere effettuate le biopsie.
Circa 30 minuti prima di iniziare l’esame, viene praticata per via intramuscolare una pre-anestesia. Segue un’anestesia locale del cavo orale e delle corde vocali, mediante un aerosol, per ridurre il riflesso del vomito e della tosse. L’introduzione del fibrobroncoscopio può essere eseguita con il paziente seduto o, solitamente, sdraiato, in posizione supina. Come accennato, l’introduzione del tubicino avviene solitamente per via nasale oppure, se ciò non è possibile, per via orale. I campioni raccolti durante la fibrobronco scopia vengono inviati in laboratorio. Oltre all’esame istologico, questa procedura consente un esame batteriologico, citologico e micologico dei materiali prelevati.
Cos’è la criobiopsia?
La criobiopsia è un particolare tipo di prelievo istologico eseguito in corso di esame broncoscopico. Questa procedura viene eseguita in regime di ricovero. Il paziente, prima di eseguire la criobiopsia, deve aver effettuato una visita anestesiologica e alcuni esami, tra cui le prove di funzionalità respiratoria, il test del cammino, l’emogasanalisi e l’ecocardiogramma. La procedura viene eseguita in camera operatoria, con il paziente in anestesia generale. Attraverso un piccolo tubo rigido (8 mm di diametro), posizionato nella trachea, viene introdotto il fibrobroncoscopio e attraverso di esso viene manovrata una particolare sonda, che deve raggiungere la sede del polmone da esaminare. Una volta in posizione questa sonda viene portata per pochi istanti a -80°C; in questo modo gelifica un porzione di parenchima polmonare circostante che così rimane attaccato alla criosonda ed estratto con essa. In genere vengono prelevati 3-4 campioni bioptici. La procedura richiede circa 30 minuti. Nel complesso la criobiopsia comporta meno complicanze di una biopsia chirurgica.